martedì 27 maggio 2008

CHI PENSA AI GIOVANI?


In questi giorni si fa un gran rumore di spade attorno a questioni che riguardano l’immigrazione, la sicurezza (battaglie, per carità, sacrosante che anche noi portiamo avanti), si è addirittura tornati a parlare di nucleare. E poi c’è l’immondizia napoletana, un’altra saga senza fine. Mentre accade tutto questo, c’è ancora l’eco di un problema che chiede di essere risolto. Quantomeno di essere affrontato: i problemi dei giovani.
Le cronache (se non sono quotidiane poco ci manca) parlano chiaro: tra i giovani sono in aumento fenomeni quali il bullismo, la violenza gratuita, l’uso di droghe, il lento ma inesorabile disinteresse verso qualsiasi cosa che non sia soltanto divertimento fine a se stesso. Qualcuno, si chiede perché?
E va bene affrontare l’emergenza Rom, la crisi dei rifiuti campani, la questione del nucleare o altre problematiche, ma occorre iniziare, sin da subito, ad analizzare e poi ad avanzare proposte, individuare soluzioni, per salvare quello che resta della nostra gioventù in declino.
E lasciamo perdere i discorsi –sempiterni e moralistici- da “nonni”, che dicono: “ai miei tempi si stava bene, certe cose non succedevano”, non tanto perché non sia vero, ma perché le morali e i predicozzi li sentiamo da sempre e non sono certo la soluzione definitiva.
Quale soluzione dunque?
Occorre anzitutto individuare il problema, averne ben chiara una definizione, eventualmente assegnargli un nuovo nome, dalla quale partire per analizzare le cause e successivamente trovare un punto d’arrivo. Potremmo chiamarla “questione giovanile”.
La questione giovanile, oggi, richiede la capacità di capire, al di là dei pregiudizi e lontani dalle trombe mediatiche che ricercano il “fatto” per sbattere in prima pagina il mostro per poi far trarre le conclusioni –spesso sbagliate- agli altri.
Innanzitutto c’è da capire che cosa può spingere i giovani verso determinate strade, e in questo caso, forse, non è difficile poterlo intuire: si parta dal presupposto che veri e propri valori di riferimento essi non ne hanno. Parliamo di valori con i quali (e qui però serve dirlo!) sono cresciuti i nostri genitori, i nostri nonni, anche. Non è una volontà di riproporre modelli anziani, né di tornare indietro. Semplicemente dare il giusto peso alle giuste cose e saperlo riconoscere.
Ma il discorso dei valori non può antecedere l’analisi delle condizioni culturali, morali e materiali, che fanno sì che i giovani riversino in una condizione di degrado.
Ergo: qual è il problema oggettivo, quindi?
E’ semplice; e non sono il primo a dirlo, né a pensarlo: più che di valori, si dovrebbe parlare di dis-valori, con i quali la gioventù viene educata: la severità della famiglia e l’educazione civica della scuola sono state sostituite dall’irruenza con cui la tv presenta i suoi modelli, fatti di scene violente senza filtro, talk show a base di scontri verbali (e a volte fisici) , cantanti, che infarciscono le loro canzoni di richiami alla libertà e alla trasgressione senza vincoli, invitanti a rifiutare i più elementari principi dell’integrità morale dell’individuo.
E’ in questo “humus” che crescono i nostri giovani, svuotati di ogni possibile volontà e interesse, per esempio, verso la politica, la cultura (quella vera, non quella spazzatura), la filosofia , perché nel bene e nel male hanno “tutto” .Ed è all’interno di un contesto sociale così ampio e con questi presupposti, che crescono i piccoli “mostri” da sbattere poi in prima pagina, perché in branco violentano l’amichetta, o aggrediscono il coetaneo, o si lanciano in auto a 100 all’ora, in città, investendo il malcapitato di turno, magari uccidendolo, per poi pentirsi e riverire scuse a mente lucida.
In tutto questo, quindi, quale la possibile soluzione? Più severità? Tornare ai collegi? Il forcaiolismo? No, almeno non senza aver prima intuito altre possibili forme risolutive.
Si dovrebbe partire (o meglio ripartire) dagli strumenti che da sempre sono gli unici idonei a dare un’educazione e una retta via ai giovani: la scuola e la famiglia, in primis. E come, in un momento di crisi irreversibile di molte strutture sociali, come questo? E che ruolo, a questo punto, può avere la politica all’interno di tale contesto?
Chiaramente le strutture –le uniche e le più importanti- di cui la società dispone, dovrebbero essere potenziate, riottenendo quel ruolo da protagoniste che hanno sempre avuto. Per quanto riguarda la scuola, mi viene in mente la riforma Gentile, la quale ebbe come primario fine quello di impartire ai fanciulli un’educazione fondata sulla disciplina, la sobrietà, il rispetto delle regole elementari per un vivere civile, unita al dovere di costruire, attraverso l’impianto scolastico, uomini capaci di sfidare il tempo e il destino, divenendo Cittadini e non –come avviene oggi- semplici macchine al servizio dell’unica religione (che ha sostituito la vera religione) rimasta: il capitalismo, la produzione, il lavoro inteso non come mezzo di sostentamento ma come feticcio da venerare e a cui dedicare la propria esistenza.
Riscoprire queste virtù e queste semplici impostazioni di vita, potrebbe essere un primo passo per riformulare un’etica dell’educazione per i giovani.Poi viene la Famiglia. Il caposaldo della civiltà.Dopo la scuola è senza dubbio la struttura più importante (se non prima della scuola), la quale, avendoli generati, ha il primario dovere di educare i figli, e dargli la possibilità di formarsi in modo critico, ma rimanendo saldi ai principi sopra indicati, che sono il punto di arrivo di ogni comunità che voglia definirsi sana.
In che modo la famiglia può e deve crescere i propri figli, che si affacceranno poi alla vita e vivranno all’interno di una società che vuole definirsi civile?Non troppo diversamente dal modello scolastico precedentemente indicato, è opportuno trasmettere alla propria progenie, i valori essenziali per crescere retti, in un mondo in disfacimento che mina di continuo la sensibilità e la resistenza del singolo; educarli al rispetto, un primo passo: di se stessi, dei genitori, dei coatenei, degli anziani, dei più deboli, delle donne. Poi saperli privare. Sì, far loro capire che non è sempre nell’abbondanza e nell’aver tutto facile che ci si può sentire realizzati e soddisfatti. A loro, non serve la griffe, il cellulare ultratecnologico che fa le foto o l’I-pod all’ultimo grido per sentirsi felici. Questo è asservirsi alle logiche del consumismo, che appunto lascia credere che attraverso l’acquisto di più cose, belle, nuove, supermoderne e avanzate, ci si senta migliori. In realtà, più che di aggeggi senz’altro utili ma non indispensabili, è nella capacità di ritrovare un senso della vita che risieda in noi stessi, la via, o una delle tante, per trovare la serenità.
Un tempo i giovani si sfamavano di fedi, di ideali, per i quali a volte sacrificavano anche se stessi, la loro libertà. Ora, vuoi perché alcuni ideali hanno mostrato le loro crepe e il segno dei tempi, che non li rende più attuali e capaci di dare risposte, vuoi perché non esiste (o è stato indebolito) nessun riferimento alto a cui tendere e credere, il nichilismo è riuscito a penetrare con facilità nelle menti dei ragazzi (e non solo) e a fare danni.
In conclusione, partendo da questa analisi e dai possibili sviluppi, non è impossibile superare la crisi delle idee, dei valori, ma occorre che chi si fa portavoce di queste istanze (i partiti, le associazioni, i gruppi) proponga nuove strategie, coinvolga maggiormente coloro che sembrano “dispersi” nel mare del qualunquismo e dell’omologazione, offra nuovi spunti dai quali attingere, per rilanciare una nuova idea di politica intesa come strumento di lotta per migliorare ciò che si ritiene difettoso. E che possa servire anche come forma d’arte per tornare ad una nuova concezione del “bello”, del sublime e del singolare, contro le brutture e gli appiattimenti egualitari voluti e generati dalla società dell’informazione, del marketing, della moda che considera i soggetti elementi da modellare e scolpire a proprio piacimento.
Il cammino potrebbe sembrare arduo, ma proprio ciò che è difficile può fungere da stimolo per nuove sfide, che richiedono il tempo, il destino e la storia.
Emiliano Romanelli
Il Responsabile di Gioventù Italiana Venaria

1 commento:

ladestra_venaria ha detto...

Bravo Emiliano, questo tuo scritto è davvero illuminante e merita la diffusione piu ampia possibile.
Ti invito a girarlo ai siti nazionali e non de La Destra e soprattutto di Gioventù Italiana.
COMPLIMENTI

Valerio